COSTRUZIONE DI TOPAIE
Nel quadro delle campagne di politica sociale di questi ultimi anni, per rimediare alla crisi degli alloggi prosegue febbrilmente la costruzione di topaie. Di fronte all'ingegnosità dei nostri ministri e dei nostri architetti urbanisti non si può che restare ammirati. Per evitare ogni disarmonia, costoro hanno messo a punto alcune topaie tipo, i cui progetti vengono impiegati ai quattro angoli della Francia. Il cemento armato è il loro materiale preferito. Questo materiale, che si presta alle forme più elastiche, viene adoperato soltanto per fare case quadrate. Il più bel risultato del genere sembra essere la "Città Radiosa" del generale Corbusier, benché le realizzazioni del brillante Perret gli contendano la palma. Nelle loro opere si sviluppa uno stile che fissa le norme del pensiero e della civiltà occidentale del ventesimo secolo e mezzo. E’ lo stile “caserma” e la casa del 1950 è una scatola. Lo scenario determina i gesti: noi costruiremo case appassionanti. (Firmato A. F. Conord) - Potlatch n.3 - 6 luglio 1954
I GRATTACIELI PER LA RADICE
In questa epoca che in ogni campo sempre di più è posta sotto il segno della repressione, c'è un uomo particolarmente ripugnante, nettamente più sbirro della media. Egli costruisce delle celle come unità abitative, una capitale per i nepalesi, dei ghetti in verticale, degli obiettori per un tempo che sa bene cosa farne, e costruisce delle chiese. Il protestante modulare. Le Corbusier Sing Sing, l'imbrattatele di croste cubiste fa funzionare la "macchina per abitare" per la maggior gloria del Dio che ha fatto a propria immagine le carogne e i corvi (*). Non è possibile dimenticare che se l'urbanistica moderna non è ancora mai stata un'arte - e tanto meno un quadro di vita -, è stata per contro sempre ispirata dalle direttive della Polizia; e che in fondo Haussmann ci ha fatto quei viali solo per far passare comodamente il cannone. Ma oggi la prigione diviene l'abitazione modello, e la morale cristiana trionfa senza contraddittorio, quando ci si accorge che Le Corbusier ambisce a sopprimere la strada. Perché egli se ne lusinga. Eccolo, appunto, il programma: la vita definitivamente frammentata in isolati chiusi, in società sorvegliate; la fine delle possibilità di insurrezione e di incontri; la rassegnazione automatica. (Notiamo di passaggio che resistenza delle automobili serve a tutti - salvo, naturalmente, ai pochi "economicamente deboli"-: il prefetto di polizia appena scomparso, l'indimenticabile Baylot, dichiarava appunto, dopo l'ultima sfilata studentesca di "maturità", che le manifestazioni di strada erano ormai incompatibili con le esigenze della circolazione. E, ogni 14 luglio, ce lo dimostrano). Con Le Corbusier, i giochi e le conoscenze che abbiamo il diritto di attenderci da un'architettura veramente coinvolgente - lo spaesamento quotidiano - sono sacrificati allo svuota-rifiuti, che non verrà mai utilizzato per la Bibbia regolamentare, già in dotazione negli alberghi americani. Bisogna essere ben sciocchi per vedervi un'architettura moderna. Non è altro che un ritorno in forze del vecchio mondo cristiano mal seppellito. All'inizio del secolo scorso, il mistico lionese Pierre-Simon Ballanche, nella sua "ville des expiations" ("città delle espiazioni") - le cui descrizioni prefigurano la "cité radieuse" ("città radiosa") - ha già espresso questo ideale d'esistenza: "La Città delle Espiazioni dev'essere una immagine viva della legge monotona e triste delle vicissitudini umane, della legge inflessibile delle necessità sociali: in essa tutte le abitudini, anche le più innocenti, devono essere attaccate frontalmente; tutto in essa deve ammonire incessantemente che nulla è stabile e che la vita dell'uomo è un viaggio in terra d'esilio". Ma ai nostri occhi i viaggi terrestri non sono né monotoni né tristi; le leggi sociali non sono inflessibili; le abitudini che occorre attaccare frontalmente devono far posto ad un incessante rinnovamento di meraviglie; e il primo confort che noi auspichiamo sarà l'eliminazione delle idee di questo genere, e delle mosche che le diffondono. Cosa sospetta dei bisogni degli uomini il signor Le Corbusier? Le cattedrali non sono più bianche. E, come vedete, ne siamo incantati. Il "soleggiamento" e il posto al sole, conosciamo il ritornello - organi e tamburi M.R.P. - e i pascoli del cielo dove vanno a pascolare gli architetti defunti. Togliete il bue, che si tratta di vacca. . - Potlatch n.5 - luglio 1954 - NdT, gioco di parole tra "Corbusier" e "corbeilli" (= corvo, ma anche becchino) LA CASA DELLA PAURA Una riunione lettrista in data 20 settembre ha deciso di fissare in piante e plastici il modello di una "casa che faccia paura". Il tema di questo esercizio sottolinea abbastanza che non si tratta di giungere ad una qualsiasi armonia visiva. Tuttavia occorre notare che se questa casa è volutamente studiata in funzione di un sentimento semplice, la sua concezione dovrà tener conto delle sfumature affettive confacenti alle molteplici situazioni che possono richiedere una cornice spaventosa. - Potlatch n. 23, 13 ottobre 1955 PROGETTO Dl ABBELLIMENTI DELLA CITTA' Dl PARIGI I lettristi presenti il 26 settembre, di comune accordo, hanno proposto le soluzioni qui di seguito riportate a diversi problemi urbanistici che sono stati sollevati nel corso della discussione. Attirano l'attenzione sul fatto che non è stato preso in considerazione nessun aspetto costruttivo in quanto a tutti pareva che ripulire il terreno fosse la questione più urgente. Aprire la metropolitana di notte, dopo la fine del passaggio dei treni. Mantenervi, con deboli lampade intermittenti, un'incerta illuminazione nei corridoi e sui binari. Mediante una determinata sistemazione delle scale di soccorso e con la creazione di passerelle ove necessario, aprire alle passeggiate i tetti di Parigi. Lasciare aperti di notte i giardini pubblici. Mantenerli al buio. (In alcuni casi una debole illuminazione costante può essere giustificata da considerazioni psico-geografiche). Munire i lampioni di tutte le strade di interruttori; l'illuminazione sarebbe così a disposizione del pubblico. Per le chiese, sono state proposte quattro soluzioni diverse, riconosciute difendibili fino al giudizio mediante sperimentazione, che farà prontamente trionfare la migliore. G.-E. Debord si dichiara a favore della distruzione totale degli edifici religiosi di ogni confessione. (Che non ne resti traccia e se ne usi lo spazio). Gil J. Wolman propone di conservare le chiese, svuotandole di ogni concetto religioso.Di trattarle come edifici comuni. Di lasciarvi giocare i bambini. Michèle Bernstein chiede di distruggere parzialmente le chiese in modo che le rovine rimanenti non rivelino più la loro primitiva destinazione (la Tour Jacques, in boulevard Sebastopol, potrebbe esserne un esempio accidentale). La soluzione perfetta sarebbe quella di radere completamente al suolo la chiesa e ricostruire le rovine al suo posto. La prima soluzione è scelta unicamente per ragioni di economia. Jacques Fillon, infine, vuol trasformare le chiese in case che facciano paura. (Utilizzare la loro attuale atmosfera, accentuandone gli effetti di panico). Tutti concordano nel respingere l'obiezione estetica, nello zittire gli ammiratori del portale di Chartres. La bellezza, quando non è una promessa di felicità, deve essere distrutta. E cosa rappresenta meglio l'infelicità di questa sorta di monumenti eretti a tutto ciò che nel mondo non si domina ancora, al grande margine inumano della vita? Conservare le stazioni ferroviarie come sono. La loro bruttezza, fonte di molte emozioni, dona molto all'ambiente di passaggio che forma la leggera attrattiva di questi edifici. Gil J. Wolman chiede che si sopprimano o che si falsifichino arbitrariamente tutte le indicazioni circa le partenze (destinazioni, orari, ecc.). Ciò per favorire la deriva. Dopo un vivace dibattito, l'opposizione che si era espressa rinuncia alle sue tesi, e il progetto è ammesso senza riserve. Accentuare l'ambiente sonoro delle stazioni con la diffusione di registrazioni provenienti da un gran numero di altre stazioni - e di certi porti. Soppressione dei cimiteri. Distruzione totale dei cadaveri, e di questo genere di souvenir; né ceneri né tracce. (Occorre attirare l'attenzione sulla propaganda reazionaria rappresentata, tramite la più automatica associazione di idee, da questa orrida sopravvivenza di un passato di alienazione. Si può vedere un cimitero senza pensare a Mauriac, a Gide, a Edgar Faure?) Abolizione dei musei, e ripartizione dei capolavori artistici nei bar (l'opera di Philippe de Champaigne nei caffè arabi della rue Xavier-Privas, il Sacro, di Davide, al Tonneau della Montagne-Geneviève). Libero accesso illimitato di tutti alle prigioni con possibilità di soggiorno turistico. Nessuna discriminazione fra visitatori e condannati. (Per aggiungere humour alla vita, per dodici estrazioni annuali i visitatori potrebbero vedersi rastrellare e condannare ad una pena effettiva. Ciò per lasciare spazio agli imbecilli che hanno assolutamente bisogno di correre un rischio interessante; gli speleologi attuali, per esempio, e tutti quelli il cui bisogno di gioco si accontenta di imitazioni talmente misere). I monumenti la cui bruttezza non può in alcun modo essere messa a frutto (del genere Petit o Grand Palais), dovranno lasciar posto ad altre costruzioni. Rimozione delle statue che restano, il cui significato è superato - e i cui possibili rinnovamenti estetici sono condannati dalla storia prima di venir messi in opera. Si potrebbe ampliare utilmente la presenza delle statue - durante i loro ultimi anni - con il cambiamento delle loro iscrizioni sul piedistallo, sia in senso politico (LA TIGRE DETTA CLEMENCEAU, sugli Champs-Elysees), sia in senso fuorviante (OMAGGIO ALLA FEBBRE E AL CHININO, all'incrocio fra il boulevard Michel e la rue Comte); (LE GRANDI PROFONDITA', piazza del sagrato nell’Ile de la Cité). Far cessare la cretinizzazione del pubblico ad opera degli attuali nomi delle vie. Cancellare i consiglieri municipali, i resistenti, gli Emile e gli Edouard (55 vie a Parigi), i Bugeaud, i Gallifet, e più in generale tutti i nomi sporchi (rue de l'Evangile). A questo proposito, resta più che mai valido l’appello lanciato dal numero 9 di Potlatch per il non riconoscimento del vocabolo santo nella denominazione dei luoghi. |
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QUADRO DELL’ALIENAZIONE
Questa folla cinese, disposta in modo da comporre un ritratto di Mao, può essere considerata come un caso limite di Spettacolare concentrato del potere statale (cfr.l.S. 10, pagg. 44 e 45), quello che "nella zona sottosviluppata... raccoglie nell'ideologia e, all'estremo, su di un solo uomo, tutto I'ammirabile... che si tratta di applaudire e di consumare passivamente". Qui la fusione dello spettatore e dell'immagine da contemplare sembra aver raggiunto la sua perfezione poliziesca. E’ credendo utile, qualche tempo dopo, di andare ancora oltre questo grado di concentrazione, che la burocrazia cinese ha fatto saltare il meccanismo. Da “Internazionale situazionista” n.11, ottobre 1967. Direttore: Debord. Redazione: B.P. 307-03 Paris |
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GLI IMBRATTATORI
L'uso della policromia per la decorazione esterna delle costruzioni degli uomini era sempre stato il segno dell'apogeo, o della rinascita, di una civiltà. Nulla o quasi rimane delle realizzazione degli Egizi, dei Maya, dei Toltechi o dei Babilonesi in questo campo. Ma ancora se ne parla. Non potrebbe quindi sorprenderci che da qualche anno gli architetti tornino alla policromia. Ma la loro povertà spirituale e creativa, la loro mancanza totale di semplice umanità sono per lo meno desolanti. La policromia attualmente serve soltanto a mascherare la loro incompetenza. Due esempi, scelti dopo un'inchiesta condotta fra centocinquanta architetti parigini, lo dimostrano a sufficienza: - Progetto di tre giovani architetti (22-25-27 anni) persuasi del loro genio e della loro novità, naturalmente ammiratori di Le Corbusier:A Aubervilliers, - luogo diseredato per eccellenza, dacché un giovane ammiratore del ceramista sansulpiciano* Léger vi ha già dimostrato quel che vale - lungo cubo parallelepipedo rettangolare. Per far "giocare" come si conviene la facciata giudicata troppo piatta, la si coprirà di pannelli gialli, alternati a pannelli viola, di 1 m. per 60 cm. Il posto dei pannelli lo si lascerà scegliere agli operai. Il caso oggettivo, in qualche modo. Ma a quando la prima costruzione assolutamente "automatica"? - Progetto di un architetto relativamente conosciuto (45 anni): Vicino a Nantes, "blocchi" scolastici: due lunghi cubi separati dall'inevitabile terreno sportivo con i suoi magnifici aranci nani in cassetta. La costruzione di destra, lato maschi, sarà ricoperta di pannelli rossi e verdi, di due metri per uno, quella di sinistra, lato femmine, di pannelli gialli e viola, delle stesse dimensioni. Gli architetti in questione realizzeranno questa adorabile orgia di colori per mezzo di sottili pannelli di cemento. Ignorano quasi del tutto come questo materiale si comporterà in presenza dei reagenti contenuti nei coloranti. A Aubervilliers solo una grondaia proteggerà dalla pioggia una facciata di cinque piani. A Nantes, d'altronde, stessa leggerezza, ma per due piani soltanto. E' noto fino a che punto il viola sia portatore di influssi sgradevoli; è noto a quali pompe è generalmente associato; si può già intuire quale lega formeranno ben presto il giallo sporco e il viola slavato. Questi esempi faranno dunque a meno di commenti. Ci si potrà formare un giudizio sulla povertà attuale delle ricerche architettoniche quando si saprà che la maggior parte degli architetti intervistati, quando si interessano alla policromia, sembrano volersi servire soltanto del giallo e del viola o del rosso e del verde, accostamenti un poco "giovani" per il nostro tempo. Tuttavia, un architetto (45-50 anni) della rue de l'Université e un altro (stessa età) della rue de Vaugirard, preparano senza boria composizioni più interessanti. Il primo, che è di ritorno dall'America (e pare interessante notare che attualmente la forma più civilizzata di architettura viene dagli U.S.A. con Frank Lloyd Wright e la sua architettura "organica", o dall'America latina con Rivera e le sue città) costruisce soprattutto ville per persone ricche, lavorando nei toni chiari, servendosi di materiali sicuri, dalle mattonelle di ceramica al mattone olandese. Il secondo lavora con le stesse tinte, ma per immobili più o meno "popolari". Subisce quindi molti limiti nella sua ricerca, e si vede talvolta ridotto a ricorrere al cemento, se non addirittura al "blocco Gilson". Dispiace per lui, e per gli altri. - Potlatch n.8, 10 agosto 1954 - Questo numero di Potlatch è stato redatto da M.I. Bernsfew, A.F. Conord, M. Dahou, G.-E. Debord, Jacques Fillon, Véra Wolman. -*Saint-Sulpice, quartiere parigino tradizionalmente specializzato nella vendita di immagini sacre dozzinali.
L'ARCHITETTURA E IL GIOCO
Johan Huizinga nel suo Homo litdens stabilisce che: "la cultura, nelle sue fasi originarie, possiede il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stato d'animo ludici". Il latente idealismo dell'autore e il suo angusto apprezzamento sociologico delle forme superiori del gioco non tolgono valore all'apporto primario che la sua opera costituisce. Sarebbe vano, d'altronde, cercare altro movente alle nostre teorie sull'architettura e sulla deriva, che non sia la passione del gioco. Tanto lo spettacolo di quasi tutto ciò che avviene nel mondo suscita la nostra collera o il nostro disgusto, tanto noi siamo nondimeno capaci di trarre vieppiù il nostro divertimento da ogni cosa. Quelli che a questo punto intendono che siamo degli ironisti la fanno troppo semplice. La vita attorno a noi è fatta per obbedire a necessità assurde, e tende inconsciamente a soddisfare i suoi veri bisogni. Questi bisogni e le loro realizzazioni parziali, le parziali comprensioni di essi, confermano in ogni dove le nostre ipotesi. Un bar, ad esempio, che si chiama Au hout du Monde (in capo al mondo) al confine di una delle più forti unità ambientali di Parigi (il quartiere delle rue Mouffetard- Tournefort-Lhomond), non vi si trova per caso. Gli avvenimenti appartengono al caso solo finché non si conoscono le leggi generali della loro categoria. Occorre lavorare alla più estesa presa di coscienza possibile degli elementi che, al di fuori degli imperativi utilitari il cui potere andrà sempre diminuendo, determinano una situazione. Ciò che si vuol fare di un'architettura è un dettame molto vicino a ciò che si vorrebbe fare della propria vita. Le belle avventure, come si dice, possono avere come cornice e come scaturigine solo i bei quartieri. La nozione di bei quartieri cambierà. Già ora è possibile assaporare l'atmosfera di alcune zone desolate, altrettanto adatte alla deriva quanto scandalosamente inadatte ad essere abitate, nelle quali tuttavia il regime imprigiona masse di lavoratori. Lo stesso Le Corbusier riconosce, in L'Urbanisme est une clef, che se si tiene conto del miserabile individualismo anarchico dell'edificazione nei paesi industrializzati, "... il sottosviluppo può essere altrettanto la conseguenza di alcunché di superfluo che di una penuria". Questa annotazione naturalmente può ritorcersi contro il neomedievale promotore del "comune verticale". Idividui molto diversi, con approcci apparentemente di eguai natura, hanno abbozzato alcune architetture intenzionalmente spaesanti, che vanno dai celebri castelli di re Ludwig di Baviera a quella casa di Hannover che, a quanto pare, il dadaista Kurt Schwitters aveva sforacchiato con dei tunnel e complicato con una selva di colonne di oggetti accatastati. Tutte queste costruzioni appartengono al carattere barocco, che si trova sempre nettamente sottolineato nei tentativi di un'arte integrale che sia completamente determinante. A questo proposito, è significativo notare i rapporti tra Ludwig di Baviera e Wagner, anch'egli alla ricerca di una sintesi estetica nella maniera più penosa e, in fin dei conti, più vana. È opportuno dichiarare nettamente che se alcune manifestazioni architettoniche cui siamo indotti ad attribuire dei pregi hanno qualche parentela con l'arte naif, noi le stimiamo per tutt'altre ragioni, cioè perché concretizzano forze inutilizzate di una disciplina economicamente poco accessibile alle "avanguardie". Nello sfruttamento dei valori di mercato bizzarramente attribuiti alla maggior parte dei modi espressivi della naiveté è impossibile non riconoscere il dispiegarsi di una mentalità formalmente reazionaria, molto prossima all'atteggiamento sociale paterna-listico. Più che mai, noi riteniamo che gli uomini che meritano qualche stima devono aver saputo rispondere a tutto. Non cesseremo di fissarci come obiettivo di partecipare, nella più ampia misura possibile, alla costruzione reale delle alee e dei poteri del fenomeno urbano, che attualmente ci accontentiamo di usare. Noi sappiamo bene che il provvisorio libero regno dell'attività ludica, che Huizinga crede di poter opporre in quanto tale alla "vita corrente", caratterizzata dal senso del dovere, è il solo campo della vita vera, fraudolentemente ristretta dai tabù con pretese di durevolezza. I comportamenti che amiamo tendono a stabilire tutte le condizioni favorevoli al loro completo sviluppo. Si tratta ora di far passare le regole del gioco da convenzione arbitraria a fondamento morale. (Firmato Guy-Emest Debord) - Potlatch n. 20 - 30 maggio 1955. |
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IL RUOLO DI POTLATCH, UN TEMPO E ORA
Potlatch era il titolo di un bollettino d’informazione dell'Interna-zionale lettrista, di cui da Parigi furono diffusi 29 numeri, tra il giugno 1954 e il novembre 1957. Strumento di propaganda in un periodo di transizione tra i tentativi d'avanguardia insufficienti e mancati del dopoguerra e l'organizzazione della rivoluzione culturale che i situazionisti ora iniziano sistematicamente, Potlatch è stato indubbiamente nel suo tempo l'espressione più estremista, cioè più avanzata nella ricerca di una nuova cultura, e di una nuova vita. Al di là delle mutevoli fortune che possano arridere alla nostra iniziativa, Potlatch e stato l'unico a colmare il vuoto delle idee culturali di un'epoca, il buco apparente nella meta degli anni '50. E già sicuro di essere per la storia, non una testimonianza di fedeltà allo spirito moderno nel momento in cui regnava la sua parodia reazionaria, ma un documento su una ricerca speri-mentale di cui l'avvenire farà il suo problema centrale. Ma questo avvenire è iniziato, è in gioco in ognuna delle nostre vite. Il vero successo che si può attribuire a Potlatch è quello di essere servito all’unità del movimento situazionista, su un terreno più ampio e nuovo. Si sa che Potlatch traeva il titolo dal nome, presso alcuni Indiani dell'America settentrionale, di una forma precommerciale di circolazione dei beni, fondata sulla reciprocità di doni suntuari. I beni non vendibili che un simile bollettino gratuito può distribuire, sono desideri e problemi inediti; e soltanto il loro approfondimento da parte di altri può costituire un dono di ritorno. Ciò che spiega il fatto che in Potlatch lo scambio di esperienze sia stato spesso sostituito da uno scambio di insulti, di quegli insulti dovuti alle persone che hanno della vita un'idea meno grande della nostra. |
A partire dalla Conferenza di fondazione dell’I.S. a Cosio d'Arroscia, Potlatch apparteneva ai situazionisti, che ne inter-ruppero quasi subito la pubblicazione.
A Monaco, la Conferenza situazionista adottò, su proposta di Wickaert, il principio dell'uscita di una nuova serie di Potlatch, per servire questa volta soltanto da collegamento interno tra le sezioni dell'I.S. La redazione e la diffusione del nuovo Potlatch sono state poste sotto la responsabilità della nostra sezione olandese. Il nuovo compito di Potlatch, in un quadro differente, è altrettanto importante del precedente. Abbiamo progredito, e intanto abbiamo anche aumentato le nostre difficoltà e le nostre possibilità di contribuire a tutt'altro da ciò che vogliamo. Noi viviamo, come dovranno farlo i reali innovatori fino al rovesciamento di tutte le condizioni dominanti della cultura, in questa contraddizione centrale: siamo nel contempo una presenza e una contestazione nelle arti attualmente chiamate moderne. Dobbiamo conservare e superare questa negatività, con il suo superamento verso un terreno culturale superiore. Ma non possiamo trarre partito dai mezzi scontati dell'"espressione" estetica, né dai gusti che essa alimenta. Per il superamento di questo mondo risibile e solido, L'I.S. può essere un buono strumento. O può immobilizzarsi come un ostacolo in più, ostacolo di un "nuovo stile". Auguriamoci che vada avanti quanto e necessario. Auguriamo a Potlatch di lavorare utilmente a questo scopo. (Firmato Guy-Ernest Debord) - Potlatch n. 1 (n 30) 15 luglio 1959. |
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